Il percorso artistico di Giovanni Pacifico come pittore e scultore ha origini con l’intento, sin dagli anni dell’infanzia, di creare un rapporto materico con le forme dell’arte.
Una necessità che spazia dai colori alle tempere, fino al legno, al ferro e alle pietre.
Sin da bambino trova ispirazione nelle stoffe e nell’estro di sua madre, piccola imprenditrice creativa, che aveva un atelier di moda.
“Mia madre era costretta a comprarmi una scatola di colori al giorno, li divoravo, non ricordo quando è iniziato questo mio rapporto con l’arte, che da sempre è stato quasi viscerale, definirei persino animale”.
Prosegue Pacifico nel ripercorrere i suoi esordi: “Il mio percorso artistico inizia con l’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove ho avuto come maestri Domenico Spinosa e Armando De Stefano per la pittura e Augusto Perez per la scultura”.
Sin dai 18 anni Pacifico frequenta la Galleria di Lucio Amelio dove realizza la sua prima esposizione nel 1982. Nel corso del suo lungo percorso artistico frequenta tanti personaggi e critici legati al mondo dell’arte, molti incontrati nell’Istituto di Scienze della Comunicazione tra cui Beppe Morra, Luca Castellano e poi Riccardo Campa, che lo portò a conoscere il grande scrittore argentino Borges.
Tra le esposizioni principali degli anni 80-90 tra l’Italia e l’estero, espone nell’84 presso la Galleria Primo Piano a Roma, nell’85 a Villa Campolieto a Ercolano, nel ’92 alla Tartaruga a Roma, nel ‘93 all’Istituto di Scienze della Comunicazione a Napoli. Sempre negli anni ‘90 spazia tra varie esposizioni da Torino a Pietrarsa, fino alla Galleria di Julien Blaine a Marsiglia, dove conosce il famoso artista dada Jean Jacques Lebel, noto per aver realizzato diverse opere per il Centre Pompidou di Parigi. In tale ambiente matura i primi contatti col movimento Fluxus legato alla poesia visiva e allo spazio di Morra a Napoli.
Tra le mostre più recenti nel 2013 espone in Georgia (USA), poi a New York ed espone una personale da diversi anni a Santa Fe in New Mexico. In più di 40 anni di carriera artistica le opere di Pacifico attraversano tutta l’Europa, seguendo gli itinerari dei suoi stessi viaggi: tra Francia, Germania, Austria, Regno Unito, Svizzera, Repubblica Ceca, Slovacchia e Paesi Balcanici fino ad arrivare in Russia e Nord Africa. Negli ultimi anni i suoi spostamenti si intensificano verso altre rotte, oltre oceano, Stati Uniti d’America, America Latina ed Estremo Oriente. Nelle varie peregrinazioni artistiche mantiene però sempre l’isola di Capri come luogo cardine in cui ama rientrare per trovare ispirazioni e suggestioni in vista di nuovi viaggi e avventure artistiche. I lavori di Pacifico si caratterizzano come forme ibride tra pitture e sculture che lo stesso artista definisce “Pitosculture”. Esse risentono di influenze dei suoi innumerevoli viaggi, a volte inglobano materiali ferrosi, pietre, fossili e riflettendo lo studio di culture lontane, di suggestioni magiche e patafisiche, espressioni di un mondo a tratti sacro ma allo stesso tempo innovativo.
Afferma lo stesso artista in riferimento alla sua produzione: “Per me l’arte è l’incontro tra Platone e Artistotele, ovvero mito e razionalità, astratto e concreto che sfocia nella produzione materica. La mia ricerca della materialità non è legata al contingente ma va letta in una chiave atemporale. Mi sento molto vicino, in tal senso, a quella che era la visone dell’arte per Duchamp e i Futuristi, ovvero come un qualcosa in continua evoluzione e anche qualcosa di infinito”. “In tal senso – continua l’artista – va letto anche il mio approdo all’opera ‘Gli inseparabili’ che definirei quasi neodadaistica. In questo lavoro cerco di comunicare un viaggio, quello umano, che parte dalla storia del grano duro da cui si ricava la pasta e approda all’unione con il pomodoro. I due ‘Inseparabili’ pasta e pomodoro rappresentano un’unione perfetta, un matrimonio di sapori che ci riporta alle origini della nostra cultura mediterranea. Con un gioco di rimandi inoltre cerco di fare un discorso più sottile, infatti, nel nostro dialetto napoletano, la pasta (sostantivo femminile in italiano) diventa lo zito (maschile) ed il pomodoro (sostantivo maschile in italiano) diventa la pummarola (femminile), ciò mi permette di esprimere così una seconda chiave, ovvero l’ambiguità di questi due elementi che fusi creano un elemento ermafrodito. L’ambiguità di cui parlava lo stesso Duchamp diventa espressione dell’unità, una sintesi. Ho voluto, infatti, rivestire i due ‘Inseparabili’ con etichette storiche della Cirio ed altre industrie conserviere e della pasta, di cui posseggo materiale d’archivio grafico originale, in quanto sono etichette che raccontano di un mondo che parte dall’epoca dell’arte grafica con Toulouse Lautrec, il quale nell’inventare le prime etichette e manifesti cercava di comunicare la sua produzione attraverso una nuova forma d’arte. L’emigrante stesso, che portava le scatole di pasta e le lattine di pomodori nella valigia di cartone, cercava di portare con sé una parte delle sue stesse radici, che venivano espresse attraverso delle icone: quella del Vesuvio, della Grotta Azzurra etc… Partendo da queste etichette mi rifaccio al discorso dell’arte come produzione neodadaista, arrivando alla serialità espressa nella pop art per giungere fino ad oggi, dove questo rapporto è ben interpretato dal mondo della pubblicità di certi marchi. Pensiamo ad esempio alle pubblicità di Dolce & Gabbana che comunicano attraverso i loro prodotti un’estetica legata alle icone dell’arte italiana nel mondo, che sono una sintesi tra paesaggio, beni culturali e la nostra cultura alimentare”. Conclude Pacifico: “In questo senso ho pensato alla pasta e al pomodoro come ‘Gli Inseparabili’ ovvero una delle espressioni più alte di quello che siamo adesso, cercando di esprimerlo con gli elementi di etichette originali ed il mezzo dei manichini”.
The Inseparable
Giovanni Pacifico’s artistic journey as painter and sculptor is rooted in his goal, ever since his childhood, to create a material relationship with art forms.
A necessity including colors, tempera, and also wood, iron and stones.
Ever since he was a child, he found his inspiration in the fabrics and creative flair of his mother, a small creative entrepreneur, who owned a fashion atelier.
“My mother had to buy me a colors box evert day, I devoured colors ever since I was a child, I can’t remember when my relationship with art began, it has always been visceral, even animal, I could say”.
Pacifico continues recalling his debut:
“My artistic journey begins in the Academy of Fine Arts in Naples, where I studied painting under Domenico Spinosa and Armando De Stefano, and sculpture under Augusto Perez”.
Since he was eighteen, Pacifico attends Lucio Amelio’s Gallery, where he realizes his first exhibit in 1982. During his long artistic journey, he meets several art personalities and critics. Many of them were met at the Institute of Communication Sciences, among them Beppe Morra, Luca Castellano and Ricardo Campa, who would later introduce him to the great Argentinian writer Borges.
Among the main exhibit of the 1980s and 1990s, in Italy and abroad, he exhibits in 1984 at Galleria Primo Piano in Rome, in 1985 at Villa Campolieto in Ercolano, in 1992 at Galleria Tartaruga in Rome, and in 1993 at the Institute of Communication Sciences in Naples. Always in the 1990s several exhibits ranged from Torino to Pietrarsa, reaching Julien Blaine’s Gallery in Marseille, where he meets the famous Dada artist Jean Jacques Lebel, known for creating several works for the Centre Pompidou in Paris. In this environment, he matures his first approaches with the Fluxus movement, tied to visual poetry, and with Morra’s space in Naples.
Among his most recent exhibits, in 2013 he exhibits in Georgia (USA), then in New York, and he’s been displaying a personal for several years in Santa Fe, New Mexico. In more than forty years of art career, Pacifico’s works have travelled across all Europe following the itinerary of his own travels: France, Germany, Austria, United Kingdom, Switzerland, Czech Republic, Slovakia and the Balkans Countries, even going as far as Russia and North Africa. In recent years, his travels focused on overseas routes, across the United States of America, Latin America and the Far East. In his various artistic pilgrimages, though, he always keeps the island of Capri as a key destination, where he loves going back to find inspiration and suggestions, before new artistic journeys and adventures. Pacifico’s works are characterized by their hybrid forms, between paintings and sculptures that the artist himself defines as “Pittosculture”. They display the influence of his many voyages, sometimes they incorporate iron materials, stones, fossils and they reflect the study on distant cultures, on magic and pataphysics suggestions, expressions from a world that is at times sacred, but at the same time always new.
The artist himself says, referring to his productions: “For me, art is the meeting between Plato and Aristoteles, that is, between myth and rationality, abstract and concrete, culminating in the material production. My research on materiality is not tied to the contingency but must be read with a timeless interpretation. I feel very close, in that sense, to what was the vision of art for Duchamp and the Futurists, that is, something continuously evolving and infinite”. “It is with this meaning – the artist continues – that you should read the approach to my work ‘The Inseparable’ that I would define almost as New-Dadaist. With this work, I try to transmit a journey, a human one, that begins from the story of hard wheat, from which you obtain pasta, and ends with its union with tomato. The two ‘Inseparable’ pasta and tomato represent a perfect union, a marriage of flavors that bring us back to the origins of our Mediterranean culture.
Also, thanks to a game of references, I try to bring a subtler message, in fact, in our Neapolitan dialect, pasta (female noun in Italian) becomes zito (male) and tomato (male noun in Italian) become pummarola (female). This allows me to express a second meaning, that is, the ambiguity of these two elements that, when combined, create a hermaphrodite element. The ambiguity the same Duchamp talked about becomes expression of unity, a synthesis. In fact, I wanted to cover the two ‘Inseparable’ with historic labels from Cirio and other conservation and pasta industries, of which I own original graphic material from their archives, because those are labels that tell us of a world that begins from the age of Toulouse Latrec’s graphic art, who invented the first labels and fliers and tried to communicate his production through a new form of art. The immigrant himself, bringing pasta boxes and tomato cans with himself, inside his cardboard case, tried to bring with himself a part of his roots: Vesuvius, the Azure Cave….
Starting from these labels, I go back on the subject of art as new-Dadaist production, the seriality expressed in pop art and how this relationship is perfectly interpreted today in certain brands’ advertisements. Let’s just think about commercials from Dolce & Gabbana that convey, through their products, an aesthetic bound to the icons of Italian art in the world, a synthesis between landscape, cultural heritage and our gastronomic culture”.
Pacifico concludes: “In this sense I thought about past and tomato as ‘The Inseparable’ one of the highest expressions of what we are today, trying to express it with the element of original labels and the employment of mannequins”.
No Comments